Il 20 gennaio 2024 si avvicina e con esso il dibattito sul Blue Monday, noto per essere considerato il giorno più triste dell’anno. Nonostante la popolarità di questa idea, diversi studi hanno dimostrato che non esistono fondamenti scientifici che attribuiscano a questa data un particolare significato negativo. Questo articolo esplora l’origine della teoria e le critiche che la circondano, svelando la verità dietro questa celebre leggenda.

Origine e creazione del concetto

Il concetto di Blue Monday è stato introdotto per la prima volta nel 2005 da Cliff Arnall, psicologo dell’Università di Cardiff. Arnall affermò di aver elaborato un’equazione matematica per identificare il giorno più triste dell’anno, prendendo in considerazione fattori come il senso di colpa derivante dalle spese natalizie, le pessime condizioni meteorologiche e il ritorno alla routine lavorativa dopo le festività. Tuttavia, la verità è che questa teoria fu utilizzata principalmente come espediente pubblicitario da Sky Travel, un’agenzia di viaggi. In seguito a questo clamore, l’Università di Cardiff ha preso ufficialmente le distanze dall’equazione, evidenziando la mancanza di qualsiasi base scientifica.

In modo critico, è importante comprendere che l’equazione di Arnall è stata messa in discussione per molti motivi. La formula si trovava ad affrontare critiche non solo per la sua assenza di fondamento, ma anche per il fatto che non specificava le unità di misura utilizzate per i vari parametri. Di fatto, esistono due versioni dell’equazione che, entrambe, si rivelano prive di validità scientifica, confermando che l’intera teoria possa essere definita più come un’invenzione commerciale che come un’analisi psicologica attendibile.

Critiche alla teoria e ammissioni di Arnall

L’equazione alla base del Blue Monday ha attirato numerose critiche nel corso degli anni. Vari psicologi e ricercatori hanno evidenziato che non solo la formula fosse non scientifica, ma che fosse anche riduttiva nel rappresentare le complesse emozioni umane. Inoltre, Cliff Arnall ha ammesso in maniera pubblica che la sua ricerca fu finanziata da un’agenzia pubblicitaria, rivelando come fosse stata predisposta per avallare una campagna di marketing.

Un episodio simile si è verificato in seguito, quando Arnall proclamò il “giorno più felice dell’anno” in collaborazione con l’azienda di gelati Wall’s. Queste ammissioni sollevano interrogativi sulla credibilità delle sue affermazioni e sull’autenticità dei suoi studi. Tali rivelazioni hanno confermato, dunque, che l’idea del Blue Monday non fosse altro che una strategia di marketing, piuttosto che un’analisi seria delle nostre emozioni.

La persistenza del mito

Nonostante siano trascorsi anni dalla sua prima introduzione, il mito del Blue Monday continua a circolare nei media e a permeare l’immaginario collettivo. Anche dopo che le origini della teoria sono state messe in discussione e che l’Università di Cardiff ha smentito egregiamente il suo valore scientifico, il concetto si ripresenta puntualmente ogni anno nel mese di gennaio.

La ripetizione di queste narrazioni può dar vita a una sorta di "autocombustione" del mito, dove le persone cominciano ad identificarsi con l’idea di un giorno triste nonostante l’assenza di prove concrete. In questo modo, il 20 gennaio continua a essere associato a sentimenti di malinconia, contribuendo a perpetuare il concetto di Blue Monday, sia nei social media che nelle conversazioni quotidiane. Si tratta di un fenomeno culturale che riflette quanto sia facile per un’idea priva di fondamento radicarsi nell’immaginario collettivo e influenzare le percezioni individuali e collettive sulle emozioni e gli stati d’animo.

L’interesse per il Blue Monday offre uno spunto di riflessione sulle dinamiche che ruotano attorno all’interpretazione delle nostre emozioni, sollecitando un dialogo più equilibrato e informato riguardo alle tematiche legate alla salute mentale e al benessere psicologico.